PERIODICO A CARATTERE SCIENTIFICO DI MEDICINA E TERAPIA ESTETICA
Le cause dell’invecchiamento e le cure anti aging e anti stress
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La biostimolazione cellulare cutanea mediante Platelets-Rich Plasma (PRP)  consiste nella somministrazione distrettuale (viso, collo, decolleté, dorso delle mani, cuoio capelluto) di plasma ricco di piastrine. È una tecnica utile per stimolare diversi tipi di cellule: fibroblasti, osteoblasti, cheratinociti, tricocheratinociti, fibrocellule muscolari.

In Italia il medico che effettua il trattamento con PRP deve usare strumenti (centrifughe, kit di prelievo, siringhe) approvati per l’uso umano e conformi alla direttiva CEE 1993/42 e 2007/47.

Vincenzo Prof VarlaroLe indicazioni cliniche sono: l’invecchiamento cutaneo, le tricodistrofie, l’alopecia, le parodontopatie, le tendinopatie, il foro maculare retinico e le retinopatie in genere, le ulcere venose, le ulcere arteriose, le ulcere diabetiche, le cicatrici, le vulvodistrofie. Le piastrine o trombociti sono i più piccoli elementi figurati del sangue. Hanno una forma discoidale e un diametro compreso tra i 2 e i 4 μ. Al contrario dei globuli bianchi (leucociti) e rossi (eritrociti), le piastrine non sono cellule: non sono, infatti, provviste di nucleo, reticolo endoplasmico (RER), apparato del Golgi. Le piastrine derivano dalla frammentazione dei megacariociti: cellule localizzate nel midollo rosso. I megacariociti derivano da precursori: i megacarioblasti che hanno come progenitori le cellule staminali (Fig. 1).

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I megacariociti si presentano come grosse cellule con un nucleo plurilobato e hanno un diametro variabile tra i 50 e i 100 μ (Fig. 2).
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Lo sviluppo dei megacariociti inizia dalla cellula staminale emopoietica pluripotente (Fig. 3).


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Le cellule staminali pluripotenti si dispongono vicino ai sinusoidi e sono capaci di produrre tutti i tipi di cellule sanguigne a seconda del segnale che ricevono. Il primo segnale per la produzione dei megacariociti è la trombopoietina (TPO). La TPO è necessaria per indurre la differenziazione della cellula staminale. Altri segnali molecolari, per la differenziazione dei megacariociti, includono GM-CSF, IL-3, IL-6, IL-11, eritropoietina. Le cellule raggiungono lo stato di megacarioblasto e perdono la loro capacità di dividersi. Tuttavia sono ancora in grado di replicare il loro DNA. Appena la cellula completa la differenziazione e diventa un megacariocita maturo inizia il processo di produzione delle piastrine. La TPO induce il megacariocita a formare piccole pro-piastrine che si trovano nel citosol, in prossimità della membrana citoplasmatica interna. Sono stati proposti due meccanismi per il rilascio delle piastrine. Nel primo scenario, il processo di formazione delle pro-piastrine farebbe esplodere la membrana con rilascio delle piastrine. Nel secondo scenario, i megacariociti, tramite degli pseudopodi, immetterebbero le piastrine nella circolazione sanguigna. In entrambi i casi, ognuno di questi processi porta alla formazione di 2.000 - 5.000 nuove piastrine. Complessivamente, 2/3 di queste piastrine prodotte rimangono nella circolazione sanguigna mentre 1/3 vengono utilizzate dalla milza. Le piastrine, pur prive di reticolo endoplasmatico (RER), apparato di Golgi, nucleo hanno un’attività metabolica cardine che realizzano grazie a organuli, mitocondri, tubuli, granuli, RNA. Anche se le dimensioni delle piastrine sono contenute, la loro struttura interna è complessa. Ed è grazie alla loro organizzazione strutturale che intervengono in un processo biologico di primaria importanza qual è l’emostasi. In sinergia con gli enzimi della coagulazione, le piastrine permettono il passaggio del sangue dallo stato fluido a quello solido, formando il trombo che ostruisce i punti lesi dei vasi. Le piastrine sono presenti nel sangue circolante in un numero di 150.000/400.000 per mm³. Hanno una vita media di 5-9 giorni: questo numero può, tuttavia, variare significativamente in condizioni fisiologiche particolari, come nell’esercizio fisico. All’osservazione al microscopio elettronico presentano due zone distinte: una centrale granulare (granomero) e una periferica quasi ialina (ialomero) (Fig. 4).

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Nel citosol della piastrina si trova l’actina: in forma polimerica (microfilamenti) e in forma globulare: complessata con la profilina (Fig. 5).

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La profilina è una proteina che si lega all’actina, implicata nella ristrutturazione e nel processo di turn-over del citoscheletro. Si trova nella maggior parte delle cellule di tutti gli organismi eucarioti. La sua importanza è dovuta alla funzione di controllo della crescita dei microfilamenti di actina, essenziale nel processo del movimento e delle variazioni delle forme cellulari. Più in generale, la ristrutturazione dei filamenti di actina è importante per lo sviluppo degli organi, per la cicatrizzazione delle ferite e per l’azione difensiva delle cellule del sistema immunitario. La profilina si lega a sequenze proteiche ricche in prolina; numerosi sono i bersagli di legame delle profiline, molti dei quali legati alla regolazione dell’actina, ma alcuni coinvolti nelle attività a livello del nucleo correlate allo splicing dell’mRNA. Si lega, inoltre, ad alcune varianti dei fosfolipidi della membrana cellulare, dove rimane sequestrata in una forma inattiva, da cui può essere successivamente rilasciata grazie all’azione dell’enzima fosfolipasi C. L’actina svolge un ruolo cardine nel processo di mutazione morfologica delle piastrine che dalla forma discoide passano, quando sono attivate, a una forma con pseudopodi che ricorda una sorta di stella marina o forse anche una conchiglia: la bolinus brandaris (Fig. 6).
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Nella piastrina sono presenti diversi tipi di granuli:

- Granuli α (chiari): contengono fibrinogeno, fattore von Willebrand (vWF), fibronectina, fattore IV piastrinico, fattore V, trombospondina, fattori di crescita (PDGF, EGF, VEGF, IGF, FGF,TGF ), albumina, proteine battericide. 
- Granuli δ (scuri) (elettrodensi alla microscopia elettronica): contengono serotonina, Ca+2, Mg2+, ADP, ATP, peptidi chemiotattici.
- Granuli λ (lisosomiali): contengono idrolasi, perossisomi. 
- Granuli di glicogeno (Fig.7).

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L’emostasi si attua in tre fasi che si susseguono in rapida sequenza: spasmo vascolare, formazione del tappo piastrinico, coagulazione. La perdita di sangue viene arrestata se, nel sito in cui ha luogo, prolifera dentro il coagulo del tessuto fibroso che tappa il lume del vaso sanguigno. Le piastrine sono respinte dall’endotelio intatto, ma quando questo si lede e le sottostanti fibre collagene risultano esposte, diventano appiccicose e aderiscono alla zona danneggiata. Ancorate e attivate rilasciano svariate sostanze (degranulazione) che attirano altre piastrine e queste, continuando ad ammassarsi finiscono per formare sulla zona, dove l’endotelio è leso, il cosiddetto tappo piastrinico o trombo bianco. Una volta ancorate, le piastrine, oltre a produrre sostanze che attirano altre piastrine, rilasciano serotonina che provoca spasmi (contrazioni) del vaso sanguigno danneggiato. Gli spasmi vascolari riducono la perdita di sangue per cui il coagulo si forma. Contemporaneamente i tessuti danneggiati rilasciano tromboplastina, una sostanza che svolge un ruolo importante nella coagulazione. Il fattore piastrinico 3 (PF3) è un fosfolipide che riveste la superficie delle piastrine e che interagisce con la tromboplastina e con altre proteine ematiche della coagulazione e con ioni Ca2+ per formare l’attivatore protrombinico che innesca il processo a cascata della coagulazione. L’attivatore protrombinico converte la protrombina, presente nel plasma, in trombina. La trombina unisce tra loro le molecole proteiche solubili di fibrinogeno trasformandole in lunghe catene molecolari di fibrina insolubile che forma una sorta di traliccio che, intrappolando i globuli rossi, costituisce la base del coagulo. Entro un'ora il coagulo inizia a retrarsi, spremendo fuori dalla massa il siero (plasma deprivato delle proteine della coagulazione) e avvicinando i margini della parete vasale lesa. Il sangue coagula in 3-6 minuti e una volta iniziato il processo a cascata, i fattori che l’hanno scatenato vengono rapidamente inattivati per impedire che la coagulazione si diffonda per tutto l’apparato circolatorio. Alla fine l’endotelio si rigenera e il coagulo si dissolve. Le piastrine elaborano svariati metabolismi dialogando con il mondo extracorpuscolare. Tale dialogo si realizza tramite dei recettori di membrana che possono essere attivati dal fibrinogeno, dalla fibronectina, dalla trombina, dall’ADP, dal vWF, dalla 5-HT2A, dal TxA2, dal collagene. In stato di quiescenza, l’endotelio è in grado di assicurare la fluidità del sangue mediante un complesso meccanismo anticoagulante, dato da un equilibrio tra PGI2 e TXA 2, mentre in seguito ad un danno vascolare, le piastrine entrano in contatto con i componenti della matrice extracellulare, questi includono collagene, proteoglicani, fibronectina, fattore di von Willebrand (vWF) e altre glicoproteine.

La risposta delle piastrine a questo stimolo può essere suddivisa in varie fasi: adesione e attivazione, cambiamento morfologico, secrezione dei granuli, aggregazione. Il processo di adesione, come pure l’aggregazione piastrinica, dipende dalla presenza di molecole di adesione e recettori che si trovano sulla superficie delle piastrine e che, per la maggior parte, appartengono alla superfamiglia delle integrine composte da due catene peptidiche: alfa e beta.
L’adesione alla matrice extracellulare può verificarsi attraverso i recettori piastrinici per il collagene (GPIa/IIa-GPVI) e il legame con la fibronectina (GPIc/IIa) e la laminina (VLA-6), l’adesione delle piastrine al sottoendotelio è consolidata dal vWF che si lega con una parte specifica della sua molecola al collagene e con un altro sito al complesso GPIb/IX che gioca un ruolo prioritario perché è il solo meccanismo conosciuto capace di stabilizzare l’iniziale adesione piastrinica contro le forze del flusso sanguigno.
L’esposizione del complesso glicoproteico GPIIb/IIIa, dopo modificazione conformazionale, è l’evento finale comune dell’attivazione piastrinica e costituisce la premessa essenziale per il processo di aggregazione perché permette il legame del fibrinogeno, molecola dotata di struttura bipolare che si attacca a due piastrine adiacenti provocandone l’aggregazione. L’attivazione delle piastrine comporta il loro cambiamento morfologico e l’esocitosi del contenuto dei granuli a livello extracorpuscolare: adenosindifosfato (ADP), serotonina, calcio e altri fattori importanti per la successiva cascata coagulativa (Fattore IV, Fattore V, Fattore XIII) o la produzione di sostanze quale l’eicosanoide trombossano A2 (TXA2).
Tali fattori favoriscono il reclutamento di altre piastrine sopra il primo strato, in modo da formare il tappo piastrinico primario, che risulta reversibile fino a quando, con l’attivazione della cascata della coagulazione, viene prodotta trombina. L’attivazione delle piastrine è caratterizzata, quindi, da una variazione morfologica e funzionale di tali corpuscoli.
Le piastrine vanno incontro a degranulazione: un processo di esocitosi del contenuto dei granuli α δ λ  (Fig. 8).

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La membrana del granulo si fonde, grazie a un complesso di fusione costituito da tre proteine (VAMP-8, SNAP-23, SYNTAXIN 2), con la membrana della piastrina, dopodiché si ha l’esocitosi del contenuto del granulo nello spazio extracorpuscolare. Con la degranulazione si ha l’esocitosi dei granuli α δ λ.
Il fattore di crescita derivato dalle piastrine (PDGF: dall’inglese Platelet-Derived Growth Factor) è una citochina. Il PDGF è il principale mitogeno sierico per le cellule di origine mesenchimale nell’uomo. La proteina biologicamente attiva è un dimero composto da due polipeptidi collegati da legami peptidici e designati A e B (Fig. 9).
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Si conoscono cinque diverse isoforme di PDGF: PDGFAA, PDGFBB, PDGFCC, PDGFDD, PDGFAB. Tre di queste isoforme vengono rilasciate in forma attiva: gli omodimeri AA, BB e l’eterodimero AB. Altre due isoforme: CC e DD, vengono attivate mediante clivaggio proteolitico. Queste cinque isoforme di PDGF svolgono il loro ruolo di ligandi interagendo con dei recettori specifici: PDGFRAA, PDGFRBB, PDGFRAB (Fig. 10).
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Esistono diversi tipi di recettori, quelli associati agli ioni Ca2+ (ionotropi), quelli accoppiati alle proteine G (metabotropici), quelli accoppiati alle chinasi, quelli nucleari. I recettori dei fattori di crescita sono del tipo accoppiati alle chinasi. Si tratta di proteine flessibili con parti mobili comprendenti una grande porzione extracellulare (dominio extracellulare), una porzione che attraversa la membrana (dominio transmembrana ) e un dominio intracellulare: una coda lunga e flessibile (Fig. 11 )
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Il dominio intracellulare è una tirosinchinasi che realizza una stimolazione della sintesi proteica, della trascrizione del DNA con conseguenze favorevoli nell’attività mitotica cellulare.
La tirosinchinasi attiva una proteinchinasi detta mTOR (mammalian Target Of Rapamycin) che regola la crescita, la proliferazione, la sopravvivenza delle cellule. Insomma, il PDGF stimola i recettori PDGFR che a loro volta stimolano la tirosinchinasi che attiva la mTOR.
Il PDGF stimola la capacità proliferativa dei fibroblasti, la capacità anabolica dei fibroblasti, una maggiore espressione dei recettori PDGFR.
È stato dimostrato che dopo 6-8 ore si ha la massima espressione numerica dei recettori PDGFR e pertanto, se si volesse potenziare il trattamento con PRP, si dovrebbe effettuare una ulteriore biostimolazione cellulare distrettuale dopo 6-8 ore dalla prima.
Altra azione del PDGF è quella chemiotattica: induce la migrazione dei fibroblasti e dei macrofagi nell’area trattata. Tale migrazione si realizza entro 72 ore dal trattamento.

Altri fattori di crescita degranulati dalle piastrine sono l’EGF (Epidermal Growth Factor): induce la proliferazione dello strato basale dell’epidermide, il VEGF (Vascular Endotelium Growth Factor): induce l’angiogenesi, l’IGF (Insulin Growth Factor): induce la proliferazione e la funzione degli osteoblasti, l’FGF (Fibroblast Growth Factor): stimola i fibroblasti, il TGFα (Trasforming Growth Factor): stimola la crescita cellulare.
Quando il PRP si inietta nel derma si verifica l’attivazione delle piastrine che è mediata da recettori specifici per il collagene (GPIa/IIa-GPVI) presenti sulla membrana citoplasmatica delle piastrine e da altri recettori per altri attivatori endogeni presenti nel derma: fibronectina, fibrinogeno, fattore di vWF, ioni calcio.

Con l’attivazione delle piastrine si verifica il fenomeno della degranulazione con esocitosi, a livello extracorpuscolare, del contenuto dei granuli α δ λ
La piastrina, modificando il suo aspetto morfologico, grazie alla miosina presente nella sua struttura, degranula.
Con la degranulazione il contenuto dei granuli viene riversato a livello extracorpuscolare. Il segno clinico che denuncia l’avvenuta degranulazione, quando si effettua una iniezione intradermica di PRP, è l’eritema (Figg. 12, 13).

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Figura 12 Eritema post-iniezione intradermica di PRP: segno clinico dell’avvenuta degranulazione piastrinica

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Figura 13 Eritema post-iniezione intradermica di PRP: segno clinico dell’avvenuta degranulazione piastrinica

L’eritema dura circa 1 ora ed è da relazionare alla degranulazione dei granuli δ che liberano, a livello extracorpuscolare, ADP e serotonina che interferiscono con la microcircolazione. Il PDGF viene codificato da un gene particolare, il SIS, che altro non è che un oncogene presente nel genoma umano.

Molti dei geni che codificano per recettori di ormoni, per recettori di fattori di crescita, per fattori di crescita sono del tipo oncogeni cellulari secondo la classificazione di John Michael Bishop e Harold E. Varmus. Il PDGF stimola:
- La chemiotatticità: la capacità di richiamare determinate cellule a migrare verso determinati parti del tessuto; 
- La capacità proliferativa: la capacità di fare proliferare determinate cellule in determinate parti di un tessuto.
Quando un tessuto subisce una lesione, il primo fenomeno che si realizza è la formazione di un coagulo e in tale evento, le piastrine giocano un ruolo cardine. Le piastrine rilasciano PDGF che favorisce la chemiotassi dei macrofagi. Tali cellule, con la loro attività fagocitica eliminano le cellule morte presenti a livello del trauma. Nel contempo il PDGF richiama anche i fibroblasti che vengono spinti alla proliferazione in loco. In tal modo il tessuto si rigenera.

Le iniezioni di PRP vanno effettuate a tappeto sul viso, sul collo, sul decolleté, sul dorso delle mani (Fig. 14).

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Il binomio Cancer/Growth Factor è di grande attualità nella terapia dei tumori perché esistono dei farmaci che agiscono in modo selettivo legandosi ai recettori dei fattori di crescita.
Tali farmaci vengono indicati con gli acronimi UMAB e INIB. Agiscono in modo diverso ma sempre sugli stessi recettori.
Gli UMAB (Uman Monoclonal Antibodies) sono anticorpi monoclonali, proteine che si legano al dominio extracellulare del recettore o a un’altra molecola di segnale extracellulare mentre gli INIB (Tyrosine Kinase Inhibitors) sono molecole che si legano e inibiscono le attività enzimatiche a livello intracellulare: agiscono a livello del dominio intracellulare del recettore tirosinchinasico.
L’azione farmacologica degli UMAB e degli INIB è di inibire l’attività mitotica delle cellule cancerose, cioè di cellule che hanno un DNA con una mutazione genetica.
Nel caso di una biostimolazione cellulare distrettuale con il PRP, quella che si realizza è una biostimolazione cellulare controllata perché le cellule biostimolate non hanno un DNA con una mutazione genetica, ma un DNA integro.
Con il PRP si effettua una biostimolazione cellulare fisiologica come quella che si realizza quando l’organismo deve riparare una ferita, un’ulcera, una lesione in genere (Figg. 15, 16).

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Figura 15 Ferita da taglio - By Laurence Facun (Flickr)

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Figura 16 Ulcera venosa cronica (Cortesia dott. Sotiris Davlouros)

Nelle ulcere croniche la degranulazione piastrinica è continua eppure non si verifica alcuna biostimolazione cellulare non controllata, patologica perché i ligandi (fattori di crescita) agiscono su recettori di cellule con il DNA integro.
Prima di effettuare una biostimolazione cellulare cutanea distrettuale con PRP è necessario richiedere i seguenti esami ematochimici: emocromo completo, conta piastrine, PT, PTT, fibrinogeno, AT III. È bene avere un’idea della capacità coagulativa del sangue del paziente.
In base al Decreto Legge 219/2005, relativo ai criteri di idoneità del paziente, la conta piastrinica deve essere stata effettuata entro i tre mesi precedenti il prelievo e il numero delle piastrine deve essere uguale o maggiore di 100.000 per mm3.
È importante effettuare un’anamnesi farmacologica per accertare la presenza o meno di discoagulopatie iatrogene: assunzione di anticoagulanti, antiaggreganti piastrinici, inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI).
Ed è importante un’anamnesi patologica prossima e remota per accertare la presenza o meno di discoagulopatie non iatrogene.
Il PRP si ottiene tramite un prelievo di 10-20 ml di sangue che viene raccolto, tramite un kit sterile monouso, in provette contenenti Sodio Citrato al 3.8% (Fig. 17).
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Una volta terminato il prelievo, le provette vengono allocate in una centrifuga per uso umano (Fig. 18).
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La centrifuga viene programmata a 1500 – 3000 RCF (Relative Centrifugal Force) per 4-10 minuti. La variabilità della programmazione dipende dai tipi diversi di centrifughe e dai tipi diversi di provette: senza e con gel separatore.
Il rapporto tra il volume di sangue e il Sodio Citrato al 3.8% deve essere 9:1.
Il Sodio Citrato al 3.8% viene utilizzato come chelante degli ioni Ca2+ in modo da evitare la formazione del coagulo che sequestrerebbe le piastrine; pertanto il Sodio Citrato al 3.8% esplica un’azione anticoagulante; in sua assenza, gli ioni Ca2+ presenti nel sangue innescherebbero la trasformazione della protrombina in trombina formando il coagulo.
Esistono provette sottovuoto con un gel separatore: la centrifugazione consente la separazione tra la parte di plasma ricca di eritrociti, neutrofili, eosinofili (colore rosso scuro) che si dispone in basso e la parte di plasma ricca di piastrine, linfociti, monociti (colore giallo limpido), che si dispone in alto (Fig. 19).
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Centrifugazioni inadeguate possono portare a far sedimentare anche le piastrine ottenendo un Plasma Povero di Piastrine o PPP (Platelets-Poor Plasma).
La presenza del gel separatore nelle provette rende facile l’aspirazione del plasma confinato nella parte superiore della provetta. In assenza di provette con il gel separatore bisogna fare attenzione ad aspirare nella siringa solo il plasma presente nella parte alta della provetta (colore giallo limpido) (Fig. 20).
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Figura 20 PRP: aspirazione nella siringa della componente giallo limpida

Se si dovesse aspirare nella siringa il plasma ricco di eritrociti, leucociti, eosinofili (colore rosso scuro) lo stesso non dovrà essere iniettato (Fig. 21).
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Figura 21 PRP: aspirazione nella siringa, per errore, della componente rosso scura

Qualora il plasma rosso scuro fosse somministrato, si potrebbero verificare danni cutanei legati alla liberazione da parte dei granulociti di enzimi proteolitici, catepsine, mieloperossidasi e altri composti tossici dell’ossigeno.
Una volta aspirato il PRP e prima di iniettarlo, è bene movimentare la siringa, invertendola lentamente, per consentire un’ulteriore omogeneizzazione della distribuzione delle piastrine nel plasma. Questa operazione non bisogna farla in modo energico: pena la rottura delle piastrine. È possibile utilizzare siringhe da 5 ml, aghi da 4, 6, 9, 13 mm, 30 Gauche.

Con gli aghi da 4 mm si ha la certezza di effettuare un’iniezione intradermica mentre con gli aghi più lunghi bisogna fare attenzione a non iniettare nell’ipoderma. Se si iniettasse nell’ipoderma non si verificherebbe l’attivazione e quindi, la degranulazione delle piastrine.
Con un’iniezione intradermica le piastrine vengono attivate dal collagene e da altri attivatori endogeni delle piastrine presenti nel derma. Quando si effettua una biostimolazione cellulare intradermica con PRP non serve alcun attivatore esogeno delle piastrine.
Qualora non si iniettasse nel derma e fosse necessario un attivatore esogeno, è possibile utilizzare Cloruro di Calcio 10 mEq/10 ml.
Il Cloruro di Calcio va aggiunto al PRP immediatamente prima della sua somministrazione nei tessuti.
La degranulazione piastrinica, in tal caso, è talmente veloce che la liberazione dei fattori di crescita si verifica nella siringa.
L’efficacia della biostimolazione cellulare cutanea mediante PRP, per la breve emivita (pochi secondi) dei fattori di crescita, può essere facilmente compromessa. Basta un ritardo di pochi secondi nella iniezione che il plasma somministrato sarà privo di fattori di crescita attivi. Per questo motivo, in tali casi conviene attivare piccole quantità di plasma per volta (1 ml) utilizzando siringhe da 1-2 ml.
Solo i medici autorizzati dal S.I.M.T. (Servizio Immunoematologia e Medicina Trasfusionale) possono eseguire tale tecnica di biostimolazione cellulare cutanea distrettuale e devono utilizzare una strumentazione certificata CE.

In Italia il medico che effettua il trattamento con PRP deve usare strumenti (centrifughe, kit di prelievo, siringhe) approvati per l’uso umano e conformi alla direttiva CEE 1993/42 e 2007/47.
Il numero di autorizzazione ricevuto dal S.I.M.T deve essere riportato sul Consenso Informato (che il paziente riceve, legge e controfirma).
Il trattamento con il PRP non comporta rischi per la salute del paziente. Il circuito chiuso con il quale il sangue viene raccolto tramite kit sterili, l’immediata centrifugazione delle provette e la separazione delle parti del plasma con tecnica chiusa sono garanzie di sterilità che evitano contaminazioni e rischi di infezioni assieme a un’adeguata disinfezione della cute da trattare che deve essere sempre in accordo con i protocolli di disinfezione della cute relativi a un qualsiasi intervento chirurgico. La frequenza del trattamento è consigliata ogni tre mesi. Gli effetti sono visibili già dopo un trattamento (Fig. 22).

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La biostimolazione cellulare cutanea mediante PRP è complementare ad altri tipi come quella che si effettua con la glucosamina solfato, con il polidesossiribonucleotide (PDRN), con il silicio organico, con complessi aminoacidici, acido jaluronico non reticolato.
Figura 22 Basale (in alto), post-trattamento (in basso) ( Cortesia prof. Giovanni Manzo)
Il PRP è utile anche per trattare l’alopecia. In tal caso si effettua la biostimolazione cellulare (tricocheratinocita) del cuoio capelluto. Si definisce alopecia il processo di diminuzione della qualità (colore, spessore) e della quantità di capelli o la loro scomparsa. Il termine deriva dal greco alópex (volpe). È un tipo di perdita di capelli a chiazze; come quella della volpe in primavera. Le cause sono diverse e così, le espressività cliniche. L’esperienza terapeutica è stata effettuata soprattutto nell’ambito dell’alopecia (Figg. 23, 24)

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Figura 23 Alopecia androgenetica maschile - Basale (sx), post-trattamento (dx) (Cortesia prof. Giovanni Manzo)

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Figura 24 Alopecia femminile - Basale (sx), dopo due trattamenti (centro), dopo tre trattamenti (dx) (Cortesia prof. Marco Laureti)
La differenziazione dei monociti in fibrociti è regolata da svariate molecole.
È stato osservato in vitro che l’acido jaluronico ad alto peso molecolare [High Molecular Weight Hyaluronic Acid (HMWHA)] la promuove (Fig. 25 ).

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Figura 25

Combinare il PRP con l’acido jaluronico ad alto peso molecolare (Hyalift® 35, Hyalift® 75, Hyalift® 75 PRO,…) può offrire un contributo ulteriore alla biostimolazione cellulare cutanea che non sarà conseguenza solo degli effetti dei fattori di crescita degranulati dalle piastrine ma anche della capacità dell’acido jaluronico ad alto PM di favorire la differenziazione dei monociti in fibrociti.

Articolo di Vincenzo Varlaro
Docente di Medicina Estetica nel Master Internazionale di II livelli di Medicina Estetica e Terapia Estetica dell’Università di Camerino

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